domenica 19 ottobre 2014

Nascita del populismo digitale. Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo


 Nascita del populismo digitale è leggibile e scaricabile in formato PDF per lettori di ISSUU, iBook o e.book.

Il non-partito M5S guidato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha ottenuto alle elezioni nazionali del 24—25 Febbraio 2013 un clamoroso successo elettorale: il panorama della politica italiana ne è uscito profondamente sconvolto. Questo libro cerca di indagare le novità che caratterizzano la nascita di un nuovo fenomeno politico: il populismo digitale. Siamo all’inizio di un cambio epocale della politica governamentale e della democrazia rappresentativa come l’abbiamo conosciuta fino da oggi? Lontano dall’essere un’anomalia italiana, il populismo è un fenomeno saldamente occidentale, sia nella sua versione analogica, sia nella sua versione digitale, con una english version, l’UKIP, estremamente seducente e, per questo motivo, non meno pericolosa di altre formazioni anti-establishment di destra. Abbiamo formulato a intellettuali italiani e anglosassoni - di varia estrazione politica e differenti competenze disciplinari - sei domande riguardanti alcuni punti fondanti della nascita del populismo digitale e delle relazioni esistenti tra masse, potere e post-democrazia agli albori del XXI secolo. Ciò che leggerete in questo libro è il risultato delle nove interviste rilasciate tra maggio 2013 e febbraio 2014 da Luciana Parisi, Tiziana Terranova, Lapo Berti, Simon Choat, Paolo Godani, Saul Newman, Jussi Parikka, Tony D. Sampson e Alberto Toscano.

A cura di Obsolete Capitalism.

sabato 18 ottobre 2014

Mark Fisher: Scene cancellate, sogni dimenticati. Intervista a cura di Beatrice Ferrara @ Quaderni d'Altri Tempi n. 51


In questa intervista concessa in esclusiva per Quaderni d’Altri Tempi, il critico letterario e cinematografico, studioso di teoria culturale e politica e blogger Mark Fisher approfondisce alcuni dei temi principali del suo Ghosts of My Life, indagine sui futuri perduti di cui in questo numero presentiamo un estratto in traduzione italiana. In particolare, in questo scambio, l’autore ricostruisce per noi la genesi concettuale del suo ultimo saggio, sottolineando il perché del suo interesse per la cultura pop, raccontandoci il suo incontro con la musica spettrale di The Caretaker e Burial (cui sono dedicate sezioni del libro), discutendo la febbre d’archivio contemporanea e proponendoci una sua personale declinazione del vecchio adagio “il personale è politico”.


In Ghosts of My Life, uscito lo scorso giugno, ti proponi di indagare una particolare “struttura” che caratterizzerebbe la nostra esperienza quotidiana della cultura nel XXI secolo – ovvero il ritorno continuo del già noto, sintomo della lenta ma inesorabile sparizione – negli ultimi trent’anni – dell’afflato verso il futuro. Qual è il filo rosso che lega Ghosts of My Life al tuo precedente libro (2009) Capitalist Realism. Is There No Alternative?(www.quadernidaltritempi.eu/ancore06)?
In realtà, sebbene siano usciti a vari anni di distanza l’uno dall’altro, questi due libri possono essere pensati come due testi nati in parallelo piuttosto che in successione. Infatti Ghosts Of My Life raccoglie una serie di scritture non inedite uscite originariamente prima del 2009, e inoltre i due libri affrontano la stessa questione da due angolazioni differenti. Per dirla in maniera semplice, in Capitalist Realism c’era il tentativo di descrivere alcuni degli effetti derivanti dall’idea che non vi sia alternativa al capitalismo, come la chiusura degli spazi d’intervento culturale e politico. Ghosts Of My Life invece è incentrato sulla persistenza di possibilità alternative anche nella fase del collasso, della resa e dell’esaurimento. Fredric Jameson ha affermato che il postmodernismo sia la logica culturale del tardo capitalismo, e io credo che alcune delle caratteristiche che Jameson attribuiva alla cultura postmoderna – ed in particolare la tendenza al pastiche e alla retrospezione – si siano intensificate e abbiano proliferato nel tempo al punto tale da essere diventate, oggi, le modalità dominanti della cultura contemporanea. In Capitalist Realism ho provato a descrivere questa paralisi partendo da un’analisi del film Children of Men di Alfonso Cuarón, che io ho letto come paradigmatico del fenomeno della sparizione del nuovo. Ghosts Of My Life è totalmente incentrato su questa sparizione e la domanda di fondo è: perché, a dispetto di tutti i profondi cambiamenti tecnologici del XXI secolo soltanto una minima parte della cultura contemporanea ci trasmette un senso di “nuovo”? Un po’ alla volta, ci siamo abituati a questo appiattimento; ma per me questa rimane una cosa alla quale non riesco ad adattarmi serenamente – e Ghosts Of My Life, sotto vari punti di vista, è emerso proprio da questa mia incapacità di adattamento. 

In Capitalist Realism sottolineavi in più punti l’importanza di restituire alla cultura pop(olare) la sua dimensione politica. Ma mentre in quel testo ti concentravi molto sull’analisi delle linee portanti di alcuni dispositivi/pratiche (l’attivismo politico, la salute mentale, il lavoro, l’università), è in questo ultimo studio che davvero il tuo focus è più decisamente puntato sulla cultura pop degli ultimi trent’anni. Il libro infatti raccoglie una serie di “casi studio”, che vanno dalla musica al cinema, alle serie televisive, alla letteratura. Mi ha colpito molto una definizione della cultura popolare che tu dai – “popolare senza essere populista”. Puoi spiegarla nel dettaglio? 
Dicendo “populista” mi riferisco semplicemente a ciò che attrae e/o è programmaticamente orientato verso un gusto e dei desideri già esistenti. La cultura però può anche sfidare le preferenze e le premesse dominanti, pur rimanendo assolutamente popolare, assolutamente pop. La cultura che mi ha formato (serie TV sperimentali, cinema, musica elettronica da ballo, il post-punk) era proprio così. Come è noto, Theodor Adorno condannava senza riserve la musica ‘pop’, ma invece io non credo che il concetto di pop(olare) sia un concetto chiuso: quando si creano le condizioni necessarie, praticamente ogni cosa può essere pop. Eppure molte energie sono state spese affinché noi ci dimenticassimo di questa cosa una volta per tutte: in un certo senso, questa è l’epoca del populismo non popolare. Una figura come quella di Tony Blair è emblematica di tutto questo: è una figura totalmente modellata sui gusti ben noti del popolo, eppure non è riuscito a mobilitare il consenso derivato da questo suo corrispondere ai gusti del popolo a favore di nessuna causa se non quella di inseguire proprio una popolarità fine a stessa, con la conseguenza a lungo termine d’essersi invece piuttosto attirato un odio generalizzato. Oppure pensiamo un attimo ai reality show per la Tv, che sono enormemente popolari, hanno un seguito straordinario, ma sono pure assai disprezzati – e la maggior parte di quelli che li odiano con più accanimento poi ogni settimana si sintonizza per guardali. Di contro, pensiamo ai film di Stanley Kubrick o di Michelangelo Antonioni, o alla musica pop elettronica, o a quei television plays così strani come quelli che scriveva David Rudkin in Inghilterra (autore di visionari lavori per ATV e BBC, tra cui The Stone Dance del 1963 e Penda’s Fen del 1974, ndr): insomma, era una cultura che puntava sull’intelligenza e la complessità del proprio pubblico, che funzionava rispondendo quasi ad un’etica del dono – nel senso che non dava alla gente quello che la gente voleva, bensì provocava e produceva desideri che la gente non sapeva nemmeno di avere. L’importanza politica di tutto questo sta nel fatto che una cultura che ostinatamente ripete motivi e contenuti populisti triti e ritriti funziona implicitamente come una sorta di propaganda per l’idea che nulla possa mai più cambiare. E non dobbiamo dimenticarci quanto questo sia importante dal punto di vista della classe; c’è una dimensione di classe in tutto ciò. Una cultura che sia popolare senza essere populista può sfondare le linee di classe esistenti, laddove il populismo non fa che meramente confermare e proteggere i confini di una struttura classista. Molti dei momenti culturali evocati e compianti in Ghosts Of My Life ebbero luogo proprio in conseguenza del fatto che persone della working class erano riuscite, almeno in parte, a sfuggire al loro background di origine, afferrando e impadronendosi dei mezzi della produzione culturale che forgiavano i sogni e l’immaginazione collettivi. Mi sono reso sempre più conto, con il tempo, che l’infrastruttura che aveva permesso questi sviluppi, almeno per quanto riguarda il Regno Unito, era quell’apparato di stampo socio-democratico in cui rientravano varie misure, come i sussidi per la casa, i sussidi di disoccupazione, la sanità pubblica, le borse di studio – tutti sviluppi, questi, che liberavano il tempo; lo liberavano specialmente per la gente della working class, che poteva immergersi, in questo tempo liberato, nella produzione culturale. Quella che oggi chiamiamo precarietà è in fondo in larga parte un calmiere applicato a questo tipo di misure, una riduzione massiccia, che espone nuovamente la working class a condizioni di insicurezza permanente. Con l’emergere del realismo capitalista, questo apparato complesso è andato in mille pezzi. In un certo senso, oggi, mi interessano meno i potenziali effetti politici della cultura che i modi in cui gli sviluppi politici incidono sulle possibilità di produzione culturale. Rovesciare il neoliberismo significherà allora occupare nuovamente quelle istituzioni su cui i neoliberisti hanno preso il controllo; significherà introdurre misure che aumentino la sicurezza sociale. Uno dei grandi miti del neoliberismo è che l’insicurezza produca creatività; bene, io credo veramente che l’ultimo decennio smentisca pienamente questa posizione. 

giovedì 16 ottobre 2014

sabato 11 ottobre 2014

Alberto Toscano: Metaphysics, Metamorphosis and Monetization @ Sophistry, Zagreb, 27-29 June, 2014

Talk at the conference "SOPHISTRY - The Powers of the False" at MaMa, Zagreb [June 27-29,2014] Our symposium will take up sophistry not only as a matter of historical concern but also contemporary contestation: as one way to think through not only the relation between the true and the false, but also the "ancient" and the "modern," not only the philosophical past but also the future of philosophy. Alberto Toscano is Reader in Critical Theory at the Department of Sociology, Goldsmiths, University of London. He is the author of Fanaticism (2010), The Theatre of Production (2006) and the forthcoming Cartographies of the Absolute (co-authored with Jeff Kinkle). He has translated several works by Alain Badiou, Antonio Negri and others. He edits The Italian List for Seagull Books and is a member of the editorial board of the journal Historical Materialism.

Alberto Toscano & Jeff Kinkle: Cartographies of the Absolute @ Zero Books (October 2014)

Orit Gat: Unbound: The Politics of Scannig @ Rhizome, 9Oct2014


Ori Gat: Unbound: The Politics of Scannig @ Rhizome, 9Oct2014
There's a great scene in the first episode of House of Cards where the ambitious young journalist Zoe Barnes is sitting on the floor of her rented apartment's living room scanning the half-shredded documents of an education bill that was forwarded to her by her source/lover Frank Underwood, the Majority Whip. She's drinking wine, taking notes on her laptop, and scanning on her small all-in-one desktop printer/scanner. The next day she shows up at the office of the newspaper where she works with a 3000-word text and the 300-page document scanned, prompting her editors that "We should get this online right away."
Barnes's character is young and ambitious. Later in the season she moves on to work for a site called "Slugline," an early-Politico-like newswire, where "journalists post news directly from their phones." Her obsession with technology is used as a narrative device in the series to set her apart from her older, more conservative editors at the newspaper. And her ambition to upload information to the newspaper's site as soon as possible, to give the public the raw data before it can be filtered or analyzed, stands for her idealism.
The romanticized image of the scanner is based on the assumption that by scanning and uploading we make information available, and that that is somehow an invariably democratic act. Scanning has become synonymous with transparency and access. But does the document dump generate meaningful analysis, or make it seem insignificant? Does the internet enable widespread distribution, or does it more commonly facilitate centralized access? And does the scanner make things transparent, or does it transform them? The contemporary political imaginary links the scanner with democracy, and so we should explore further the political possibilities, values, and limitations associated with the process of scanning documents to be uploaded to the internet.
What are the political possibilities of making information available? A thing that is scanned was already downloaded, in a sense. It circulated on paper, as widely as newspapers or as little as classified documents. And interfering with its further circulation is a time-honored method of keeping a population in check. Documents are kept private; printing presses shut down. Scanning printed material for internet circulation has the potential to circumvent some of these issues. Scanning means turning the document into an image, one that is marked by glitches and bearing the traces of editorial choices on the part of the scanner. Although certain services remain centralized and vulnerable to political manipulation, such as the DNS addressing system, and government monitoring of online behavior is commonplace, there is still political possibility in the aggregate, geographically dispersed nature of the internet. If the same document is scanned, uploaded, and then shared across a number of different hosts, it becomes much more difficult to suppress. And it gains traction by circulation.


domenica 5 ottobre 2014

Simone Natale e Andrea Ballatore: The web will kill them all: new media, digital utopia, and political struggle in the Italian 5-Star Movement @ Media Culture & Society (January 2014)

Simone Natale e Andrea Ballatore:

The web will kill them all: new media, digital utopia, and political struggle in the Italian 5-Star Movement


Abstract

This article examines the role of discourses about new media technology and the web in the rise of the 5-Star Movement (Movimento 5 Stelle, or M5S) in Italy. Founded by comedian and activist Beppe Grillo and web entrepreneur Gianroberto Casaleggio in 2009, this movement succeeded in becoming the second largest party at the 2013 national elections in Italy. This article aims to discuss how elements of digital utopia and web-centric discourses have been inserted into the movement’s political message, and how the construction of the web as a myth has shaped the movement’s discourse and political practice. The 5-Star Movement is compared and contrasted with other social and political movements in western countries which have displayed a similar emphasis on new media, such as the Occupy movement, the Indignados movement, and the Pirate Parties in Sweden and Germany. By adopting and mutating cyber-utopian discourses from the so-called Californian ideology, the movement symbolically identifies itself with the web. The traditional political establishment is associated with “old” media (television, radio, and the printed press), and represented as a “walking dead,” doomed to be superseded and buried by a web-based direct democracy.





Martino Mazzonis: Stati Uniti, il midterm e l'ossessione per i soldi @ Pagina99.it

Martino Mazzonis: 
Stati Uniti, il midterm e l'ossessione per i soldi 
@ Pagina99.it (qui l'articolo)

Le mailboxes dei simpatizzanti dei partiti americani vengono inondate di richieste di denaro dai partiti, che stanno spendendo come non mai per aggiudicarsi la maggioranza in Senato nel voto del 4 novembre prossimo. Quanto spendono, per cosa e che tecniche usano per convincere gli elettori a donare?

Mancano quattro settimane alle elezioni di mezzo termine (si vota il 4 novembre) e nessuno negli States sembra particolarmente eccitato all'idea di andare a votare. In queste elezioni che eleggono la Camera e un terzo del Senato, i tassi di partecipazione sono sempre molto più bassi di quelli delle presidenziali. Eppure da qui escono maggioranze e possibilità o meno per il presidente in carica di riuscire a portare vanti la propria agenda. Dopo il disastro provocato dal Tea Party nel 2010, Obama ha avuto una vita difficile.

Se gli elettori non sembrano entusiasti, i partiti, che invece dipendono da quel voto, anche se alle urne si recasse il 5% dell'elettorato, sono in campagna elettorale full steam. O per meglio dire sono attivissimi sul fronte della raccolta fondi. Del resto, i soldi spesi da gennaio a oggi per le campagne elettorali (ovvero comprare spot Tv, organizzare i volontari sul campo, analizzare i dati delle precedenti elezioni, pagare consulenti e spin doctors) sono 233 milioni di dollari. Una valanga, specie se si considera che il grosso è diretto a poche contese al Senato. Il nodo della tenuta dei democratici nella camera alta è infatti la grande incognita del voto e, di conseguenza, le risorse vengono tutte dirottate a sostenere 10 corse in Iowa, Colorado, Georgia, Arkansas, Virginia, etc. La tabella qui sotto riporta i numeri delle corse nelle quali fino ad oggi si è speso di più. In alcuni casi sono le campagne a fare la parte del gigante - evidentemente i candidati sono forti e hanno loro rete di finanziatori), in altri è quello che nella tabella del Centre for responsive politics è classificato come outside spending, ovvero i soldi investiti da gruppi privati e SuperPac su un candidato. I casi in cui i soldi esterni, spesso anche provenienti dal di fuori dello stato, sono più di quelli della campagna del candidato, sono quelli sui quali i partiti nazionali hanno più preoccupazioni o speranze e,  per provare a vincere, investono forte.


Ad avere le casse più piene sono ancora una volta le organizzazioni estranee ai partiti, i SuperPac autorizzati dalla Corte Suprema a raccogliere soldi anonimi e spenderli. Una decisione controversa, molto criticata che ha reso le campagne elettorali ancora più ricche (o costose) di quanto non avvenisse in passato, quando qualche limite alla spesa c'era e tutte le donazioni dovevano essere pubbliche. Come segnala questa analisi del Wesley Media Project, la maggior parte dei soldi spesi va in spot e la maggior parte degli spot sono negativi, attaccano l'avversario, non cercano di convincere della bontà del candidato. Un fenomeno anche questo in crescita: dal 2010 in poi si tende a demolire, non a costruire (un esempio non particolarmente aggressivo, sotto la tabella). Una tendenza che resta alta tra un ciclo elettorale e l'altro (anche se fino ad oggi i dati 2014 sono leggermente più bassi di quelli 2012, ma c'è ancora un mese).


Che i partiti siano impegnati in una corsa ossessiva verso i quattrini necessari a rendere competitive le varie corse per i seggi al Senato (o per il governatore della Florida, stato cruciale, chi non ricorda la notte i giorni del recount nel 2000?) lo testimoniano le mailbox degli sciagurati che hanno lasciato il loro indirizzo di email a qualche organizzazione di un partito o dell'altro. E che sono diventati parte dei Big Data nelle mani dei partiti (o dei SuperPac). Un buon esempio? Il sottoscritto è abbonato o ha lasciato l'indirizzo a molte organizzazioni, campagne, mailing list di singoli di entrambi i partiti. E oggi, solo oggi, ho ricevuto 26 messaggi che chiedono soldi. Si va dai candidati locali alle loro mogli, dai capi delle organizzazioni a testimonial di eccellenza (il  capo dell'organizzazione repubblicana Priebus o il cervello di Bush Karl Rove), dalla paladina dei liberal Elizabeth Warren, che spedisce un messaggio al paese via MoveOn, organizzazione di mobilitazione politica ed enorme rete online di raccolta fondi.   Il tono dei messaggi spediti è di grande interesse perché ci dice qual'è la carta che i partiti, i loro strateghi e analisti di Big Data, ritengono sia la migliore da giocare per motivare l'elettore. Meglio spaventarlo o farlo sentire parte di una battaglia vincente. Dipende da molte cose. Normalmente, così almeno scriveva Sasha Issenberg nel suo The Victory Lab, volume definitivo sulle tecniche di campagna elettorale nell'era dei Big Data, per convincere l'elettore ad andare ai seggi, il messaggio deve essere positivo: "Fai la storia", "Partecipa a questa grande cosa", "Rendi migliore il Colorado". Ma questa è la tecnica da ultimo momento, quella del door to door, del volontario che ti parla davanti alla porta di casa. Per chiedere soldi sembra invece di capire dai subject delle mail ricevute, che l'allarme sia la strada giusta. In questo ciclo elettorale i democratici stanno raggranellando più dei repubblicani con oggetti come "E' finita, ci hanno ripreso" o "Disastro democratico". Il partito di Obama punta insomma ad allarmare il proprio elettorato più fedele, racconta che la catastrofe è a un millimetro e che i dollari donati possono fare la differenza. Da parte repubblicana c'è invece la narrazione opposta: "F-A-N-T-A-S-T-I-C-O!" è l'oggetto di una mail di Reince Priebus che spiega quanti soldi stiano arrivando in cassa; "Siamo pari!" è il messaggio di Scott Brown, candidato che in teoria dovrebbe uscire sconfitto ma ha carte da giocare; "Per il prezzo di un panino puoi cambiare il paese" è quello di un messaggio che chiede di donare 5 dollari. Infine c'è l'attacco a Obama che in generale serve a mobilitare gli elettori più arrabbiati, la destra del partito.    I soldi servono eccome. Non solo a pagare spot. Le elezioni si vincono portando gente alle urne: la partecipazione al voto è bassa e il porta a porta accompagnato dai Big data è cruciale. Gli elettori repubblicani, più vecchi e più costanti, vanno alle urne più spesso, i democratici, più giovani e appartenenti a minoranze, ci vanno di meno, vanno convinti in qualche modo speciale. Che sia un candidato giovane capace di mobilitare le masse come Obama, un referendum sui diritti o la paura di quel che può succedere. Per questo i democratici spendono tanto e cercano un'idea forte da proporre. Alcuni prendendo le distanze dal presidente, altri usando Bill Clinton (nel suo Arkansas, seggio cruciale) e altri ancora rivendicando l'importanza della riforma sanitaria. Al momento i repubblicani sembrano avere buone chance di prendersi anche il Senato. Molto dipenderà dal messaggio di Obama in questi giorni, dalla capacità organizzativa delle campagne e da come verranno spesi i milioni raccolti.